ENTRATA 
											ingresso libero
											
											
											Orari galleria niArt: martedi, 
											mercoledì 11:00/12:30
											
											
											giovedi, 
											venerdi 17:00/19:00
											
											
											sabato  
											
											
											11:00/12:30  
											
											17:00/19:00
											
											
											Per 
											appuntamenti 338 2791174
											 
											
											Per Maria Pia Campagna l’opera è il 
											risultato di un intreccio stilistico 
											che ingloba dentro di sé 
											l’ornamentazione astratta e 
											l’essenzialità figurativa, ovvero 
											l’articolazione di un linguaggio 
											costruito secondo un ordine che 
											cerca la definizione formale, non 
											soltanto l’espressione. Così che la 
											sua ricerca si colloca in 
											quell’ambito dell’astrazione 
											contemporanea che rifiuta d’essere 
											semplicistica controparte al 
											figurativismo. 
											Ciò è particolarmente avvertibile in 
											questa mostra ravennate nella quale 
											naturalismo informale e astrazione 
											concettuale confluiscono in spazi 
											rarefatti e solitari, in silenzi 
											solenni percorsi dal vitalismo di un 
											colore forte e dalla traccia di un 
											segno netto.
											Nel luogo che precede l’immagine, 
											nello spazio franco dell’indistinzione 
											assoluta ove tutto è possibile, 
											Maria Pia Campagna mette mano (è il 
											caso dirlo, alla lettera) all’atto 
											del dipingere. Atto primario che 
											risale all’infanzia dell’uomo, alle 
											fonti della scrittura. La mano è lo 
											“strumento” grazie al quale questo 
											gesto primario diventa possibile. 
											Sulla superficie la mano iscrive la 
											presenza del corpo che fronteggia la 
											tela, lascia la traccia materiale di 
											una intenzione di scrittura.
											Risalita ai luoghi del silenzio, 
											alla notte della grande luce 
											dell’origine, l’artista cerca di 
											fermare l’attimo primo, il segno che 
											consente di operare le prime 
											distinzioni, che consente di vedere, 
											cioè di discernere. La ricerca di 
											Campagna sembra rivolta verso questo 
											limite estremo, in un confine 
											ambiguo dove il segno non è più il 
											semplice “tracciare”, ma è anche un 
											fatto fisico, ha una carnalità, per 
											sobria che sia, che non va tradita, 
											pena lo scotto di dover rinunciare 
											alla pittura in quanto tale, in 
											quanto creazione vitale e finire per 
											trincerarsi dentro tutta una 
											intellettuale “idea” dell’arte. 
											La linea d’ombra, il confine che 
											fonda la pittura, staccandola dalla 
											pagina, dalla superficie, dallo 
											schermo specchiante dall’indistinzione 
											assoluta è il segno. E’ il segno che 
											forma la pittura, nel senso che è il 
											tramite elettivo in grado di dare 
											corpo al ritmo invisibile del 
											respiro, a tracciare i percorsi 
											dell’energia. Il segno, tramite tra 
											visibile e invisibile, è il 
											fondamento del quadro in quanto 
											scrittura per la quale Campagna fa 
											ricorso a strumenti “obsoleti” come 
											la carta e i pastelli o anche 
											vernici “povere” e metalliche. Con 
											questi gli “attrezzi” l’artista ci 
											fornisce testimonianze raccolte, di 
											magica energia, di scambio tra lo 
											spazio aperto dell’immaginazione e 
											lo spazio intimo delle emozioni e 
											dei pensieri più nascosti e privati. 
											Così come, per esempio, risulta 
											nella serie de “La valle” che 
											Campagna realizza con stesure piatte 
											che tendono ad enfatizzare 
											l’immagine. Ciò appare anche con 
											evidenza nella concretezza visiva e 
											di spiazzamento che l’artista adotta 
											per le situazioni e gli oggetti 
											estratti dalla memoria e dal sogno, 
											come mani, o parti di esse, che 
											paiono tronchi di alberi spogli. 
											Sono opere che non dimostrano e 
											neppure interpretano; sono forme 
											oggettive di solitudine, tracce del 
											valore dell’esistenza, ricerche di 
											una radice formale, affermazione 
											della pittura come momento che 
											interrompe il racconto preferendo 
											evidenziare intrecci e brani di 
											rappresentazione facendo in tal modo 
											delle immagini un pretesto per 
											verificare l’energia del segno, la 
											vitalità del colore. 
											L’espressionismo dei colori e la 
											figurazione quasi onirica portano 
											Campagna a confrontarsi con una 
											pittura che vuole vedersi dal di 
											dentro, procedere per autoanalisi 
											progressive, ma anche concedersi al 
											piacere dell’occhio, alla 
											fascinazione cromatica dei suoi 
											mille esiti. E’ il continuo 
											sperimentare la superficie tra segni 
											e colori che esplodono e si 
											contaminano, come appare nella serie 
											dedicata alle immagini di quattro 
											santi paleocristiani, opere che 
											rappresentano una sorta di omaggio 
											alla città di Ravenna.
											
											
											
											Giancarlo Papi